MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

L’argomento del presente articolo non riguarda specificamente le multe elevate per violazione del Codice della Strada, in quanto per tali infrazioni vige una disciplina specifica.

Spesso accade che vengono sanzionate per un illecito amministrativo le persone giuridica, in genere Società, ad esempio per accertamenti effettuati dall’Ispettorato del Lavoro. Il caso classico è quello dei lavoratori in nero.

La domanda più specifica è chi paga?

Pagano tutti i soci solidalmente?

Pagano solo gli amministratori?

La risposta a questo quesito si deve rintracciare nell’art. 3 della L. 689/1981 secondo cui:

Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”.

Da detta norma si rinviene che uno degli elementi essenziali per essere multati in seguito ad un illecito amministrativo è il cd. “elemento soggettivo”, consistente nel dolo o nella colpa.

Da ciò discende che una persona giuridica non può avere alcuna condotta, né dolosa né colposa, per cui è sempre necessario “incolpare” una persona fisica.

Sovente accade che le Società hanno più amministratori, per cui in caso di accertamento di lavoro irregolare vengono sanzionati tutti indistintamente con separati atti e per l’intera somma. Dunque neanche in via solidale.

Sul punto si è espressa la Corte D’Appello di Venezia la quale ha affermato:

In tema di sanzioni amministrative, a norma dell’art. 3 della L. 24 novembre 1981 n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, sicché, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (così, Corte d’Appello Venezia Sez. lavoro Sent., 09-04-2019).

Per cui, in una fattispecie come quella appena riportata, è possibile proporre ricorso per ottenere l’annullamento della sanzione in capo al soggetto che non ha avuto alcuna condotta dolosa o colposa rispetto al fatto illecito accertato. 

RICORSO FACILE

 

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

Sempre più spesso, specie nei centri abitati, ravvisiamo dei divieti di transito con  scritto Z.T.L., ovvero zone a traffico limitato, che consentono solo ad alcune categoria di veicoli di il passaggio.

La norma in questione è l’art. 7, comma 1, lett. B), del Codice della Strada, a rigor del quale:

Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:[…]  limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale, conformemente alle direttive impartite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti, per le rispettive competenze, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed il Ministro per i beni culturali e ambientali”.

Una delle domande posto più frequentemente dagli automobilisti è se un veicolo con a bordo un invalido possa o meno transitare all’interno delle ZTL.

La domanda non è stata sempre di facile soluzione, come conferma la giurisprudenza alquanto oscillante in materie.

Di recente, però, si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, affermando che:

Il D.P.R. n. 503 del 1996, art. 11 è stato correttamente interpretato ed applicato dal Tribunale di Busto Arsizio. La norma in questione prescrive, in maniera chiara ed incontrovertibile, che ai possessori del contrassegno speciale per disabili è permessa la circolazione e la sosta nelle zone a traffico limitato e nelle aree pedonali urbane qualora è autorizzato l’accesso anche ad una sola categoria di veicoli per l’espletamento di servizi di trasporto di pubblica utilità. Nel caso di specie, il fatto che l’autorizzazione ad accedere fosse stata concessa a tali veicoli ai soli fini di prelievo ed accompagnamento e non in maniera incondizionata, non può avere rilevanza per far venir meno il diritto di transito ai possessori del contrassegno speciale. L’accesso concesso ai veicoli adibiti al trasporto pubblico, per qualsiasi motivo questo avvenga, è sufficiente per ritenere legittimo, ai sensi del D.P.R. n. 503 del 1996, art. 11 l’accesso al possessore del contrassegno di cui all’art. 12 stesso decreto. […] Anche qualora l’autorizzazione ad accedere nella zona a traffico limitato sia stata concessa dal comune ai veicoli adibiti a pubblico servizio non in maniera incondizionata, ma ai soli fini di prelievo ed accompagnamento delle persone, deve ritenersi consentito l’accesso in tale area del possessore del contrassegno speciale per disabili” (così, Cass. civ. Sez. II, Sent. 14-09-2017, n. 21320).

Per cui, d’ora in poi, non vi saranno più dubbi circa il fatto che gli invalidi, muniti di apposito permesso rilasciato dal Comune di residenza, potranno tranquillamente transitare per le cd. Z.T.L. senza alcun problema.

In merito, molti utenti pongono, altresì, il seguente quesito:

Ma il Comune può obbligare l’avente diritto a comunicare prima o dopo il proprio transito?

La risposta è NO! Vi sarebbe altrimenti una grave compressione dei diritti dell’invalido.

A dirlo è sempre la Cassazione nella sentenza appena riportata:

Ove sia posto a carico del possessore del contrassegno speciale per disabili l’obbligo di comunicare il transito nella zona a traffico limitato entro le quarantotto ore successive, come indicato nel pannello integrativo del segnale di divieto di transito posto all’ingresso della zona medesima, la sua violazione non rende illegittimo l’accesso in tale area del disabile che ne aveva diritto”.

Sul punto occorre, però, fare una piccola precisazione. In ipotesi di mancata comunicazione del transito in Z.T.L. se l’invalido riceve la multa elevata a mezzo rilevatore automatico e la oppone direttamente al Giudice di Pace, non potrà avere il rimborso alle spese di giudizio, in quanto l’Ente non poteva essere a conoscenza del diritto.

Giova in ogni caso ricordare che tanti altri vizi possono inficiare di nullità la multa per Z.T.L., ad esempio:

La mancanza dell’ordinanza sindacale prevista dall’art. 7;

L’indicazione generica del luogo della violazione;

Omessa o inidonea segnalazione del divieto e/o del sistema di rilevazione;

Mancata taratura o omologazione dello strumento impiegato, ecc.

In caso di multa, quindi, non esitate a contattarci.

LA RACCOMANDATA L’ACCETTO O NON L’ACCETTO? LA RITIRO O NON LA RITIRO? ECCO LA RISPOSTA.

LA RACCOMANDATA L’ACCETTO O NON L’ACCETTO? LA RITIRO O NON LA RITIRO? ECCO LA RISPOSTA.

Quando il postino citofona non sono quasi mai buone notizie, perché nella maggior parte dei casi o è una multa o una cartella esattoriale.

Alcune persone credono che rifiutare la notifica o evitare di andare a ritirare la raccomandata giacente alla posta, in qualche modo, compromette la notifica, per cui, il mittente dovrà ripetere l’operazione, oppure maturano i tempi della prescrizione, ecc.

Nulla di più sbagliato.

Quello che interessa all’ordinamento giudico non è la reale ed effettiva notifica, bensì, la PRESUNZIONE DI CONOSCENZA.

Ma che vuol dire?

Vuol dire che il sistema prevede in meccanismo, detto sistema notificatorio, che una volta attuato porta al risultato del perfezionamento della notifica. 

Detto sistema prevede tutti i tipi di ipotesi, o quasi:

  • Notifica al destinatario;
  • Notifica a famigliare convivente;
  • Notifica al portiere;
  • Notifica all’addetto alla casa;
  • Rifiuto della notifica;
  • Assenza del destinatario temporanea;
  • Assenza assoluta, ecc.

Addirittura è possibile avere una notifica “perfetta” senza che la notifica sia stata eseguita compiutamente.

È il caso di persona con residenza sconosciuta. In questa ipotesa, la notifica viene effettuata presso la Casa Comunale del luogo di ultima residenza del destinatario (v. Art. 143 c.p.c.).

Quindi, in caso di ricezione di una raccomandata, una raccomandata giudiziaria, una cartella, ecc. ecc., accettatela subito, oppure recatevi quanto prima alla posta o presso il Comune per il ritiro.

L’unica conseguenza che comporta il mancato ritiro di corrispondenza raccomandata è che non sarete a conoscenza del suo contenuto, limitando, in tal modo, il vostro di diritto di difesa.

Per cui, ritirate e accettate tutta la posta e contattateci al più presto.

Il servizio è gratuito.

SOTTRAZIONE PUNTI PATENTE: MA QUANDO DEVO COMUNICARE I DATI E A CHI? ULTIME DALLA CASSAZIONE

Ci sarà capitato sicuramente di ricevere un verbale in cui oltre alla sanzione pecuniaria era indicata anche la sottrazione dei punti dalla patente di guida.

SOTTRAZIONE PUNTI PATENTE: MA QUANDO DEVO COMUNICARE I DATI E A CHI? ULTIME DALLA CASSAZIONE

La norma in questione è l’art. 126-bis del Codice della Strada, il quale al comma 1 recita:

1. All’atto del rilascio della patente viene attribuito un punteggio di venti punti. Tale punteggio, annotato nell’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida di cui agli articoli 225 e 226, subisce decurtazioni, nella misura indicata nella tabella allegata , a seguito della comunicazione all’anagrafe di cui sopra della violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di cui al titolo V, indicate nella tabella medesima. L’indicazione del punteggio relativo ad ogni violazione deve risultare dal verbale di contestazione”.

Appare chiaro a tutti che nessun problema sorge quando gli agenti ci fermano al momento della violazione e accertano direttamente chi era il conducente.

Più complessa è la situazione in cui ci si trova quando arriva la multa a casa, magari relativa ad un fatto risalente a qualche mese (non più di 90 giorni vedi gli altri nostri articoli circa l’art. 201 CdS).

Le DOMANDE più ricorrenti sono:

1)     COSA DEVO COMUNICARE?

2)    A CHI DEVO COMUNICARE?

3)    ENTRO QUANDO?

4)    IN CHE MODO COMUNICO?

5)    SE NON RICORDO CHI È IL CONDUCENTE?

6)    CHI PUO’ FARE RICORSO? PROPRIETARIO O CONDUCENTE?

7)    MA SE HO FATTO RICORSO DEVO COMUNICARE QUALCOSA?

8)    HO SOLO 3 PUNTI SULLA PATETE. SE NON COMUNICO NULLA?

Una parte di queste domande trova risposta nel comma 2 della predetta norma:

2. L’organo da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio, ne dà notizia, entro 30 giorni dalla definizione della contestazione effettuata, all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.

Il predetto termine di 30 giorni decorre dalla conoscenza da parte dell’organo di polizia dell’avvenuto pagamento della sanzione, della scadenza del termine per la proposizione dei ricorsi, ovvero dalla conoscenza dell’esito dei ricorsi medesimi. La comunicazione deve essere effettuata a carico del conducente quale responsabile della violazione; nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196, deve fornire all’organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione.

Se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica, il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine, all’organo di polizia che procede. Il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell?articolo 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 284 a euro 1.133. La comunicazione al Dipartimento per i trasporti terrestri avviene per via telematica”.

RISPOSTE

1)     COSA DEVO COMUNICARE?

Bisogna comunicare i dati del conducente del veicolo al momento dell’infrazione, unitamente alla patente di guida di quest’ultimo.

2)    A CHI DEVO COMUNICARE?

La comunicazione deve essere fatta all’organo che ha accertato la violazione.

Ad esempio in caso di multa autovelox elevata dal Comune di Cellole, la comunicazione andrà inviata alla Polizia Municipale del predetto Comune.

3)    ENTRO QUANDO?

La comunicazione deve essere fatta perentoriamente entro 60 giorni dalla notifica del verbale.

ATTENZIONE: per notifica del verbale si intende il giorno in cui il postino ha tentato il recapito, non il giorno in cui sono andato alla posta a ritirare l’atto giacente. Capita sovente che di ritorno dalle vacanze troviamo il famoso scontrino nella cassetta delle lettere che ci dice di andare alla Posta per ritirare l’”atto giudiziario”. Ebbene, il calcolo dei 60 giorni va fatto dal giorno in cui il postino ha tentato il recapito aumentato al massimo di dieci giorni. N.B. 60 giorni non sono due mesi, ma dovrete contare dal giorno successivo sessanta giorni precisi.

4)    IN CHE MODO COMUNICO?

La norma non specifica alcuna modalità particolare, per cui riteniamo che qualsiasi modo sia efficace (fax, pec, raccomandata, di persona, ecc.).

Ovviamente si consiglia una modalità che lascia prova al mittente dell’avvenuta comunicazione.

5)    SE NON RICORDO CHI È IL CONDUCENTE?

Può capire che uno si dimentichi chi era alla guida dell’auto due mesi prima in tangenziale, specie quando l’auto di famiglia è guidata da molte persone.

Il consiglio è quello di fare uno sforzo! Se non si comunica il conducente entro il predetto termine scatta una sanzione “sostitutiva” pecuniaria “da euro 284 a euro 1.133”.

In verità la norma afferma che potrebbero esserci “giustificati motivi” per l’omessa comunicazione.

Sul punto di recente si è espressa la Cassazione:

Ai fini dell’applicazione dell’art. 126-bis del codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli, contegno per ciò solo meritevole di sanzione, e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità” (così, Cass. civ. Sez. II Ord., 18-04-2018, n. 9555).

 

Dalle parole della Cassazione si evince con chiarezza che una comunicazione va sempre fatta. Per cui anche in caso di motivazione ostativa oggettiva, la medesima va comunicata.

Esempio classico: veicolo aziendale guidato da 50 persone. La società riceve la multa e in 60 giorni non riesce a identificare il lavoratore di servizio alla data della violazione.

La stessa Cassazione qualche tempo prima ha affermato:

“In tema di sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito amministrativo previsto dal combinato disposto degli artt. 126 bis, comma 2, penultimo periodo, e 180, comma 8, del codice della strada, il proprietario del veicolo, in quanto responsabile, nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, della circolazione dello stesso, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicarla all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta per contestare un’infrazione amministrativa, rispondendo, per l’inosservanza di tale dovere di collaborazione, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilanza su tale affidamento” (così, Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 11-12-2017, n. 29593).

6)     CHI PUO’ FARE RICORSO?

Alla presente domanda risponde direttamente la Cassazione:

In tema di infrazioni al codice della strada, cui consegua l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, legittimato a proporre la relativa opposizione è unicamente il proprietario del veicolo e non anche il conducente non proprietario, siccome carente di interesse al riguardo” (così, Cass. civ. Sez. VI – 2 Ordinanza, 14-03-2017, n. 6506).

7)     MA SE HO FATTO RICORSO DEVO COMUNICARE QUALCOSA?

A parere di chi scrive la norma in esame è chiara nell’affermare che in caso di ricorso nulla devo comunicare fino all’eventuale esito negativo del ricorso, infatti:

La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi”.

In tal senso andava la Circolare n. 300/A/3971/11/109/16 del 29 aprile 2011 del Ministero dell’Interno, rubricata proprio “Contestazione della violazione dell’articolo 126 bis del Codice della Strada in pendenza di ricorso, giurisdizionale o amministrativo, avverso la violazione principale”, a rigor della quale “Allo scopo di dare uniformità all’azione amministrativa … si ritiene che la presentazione di un ricorso avverso il verbale di contestazione costituisca un giustificato e documentato motivo di omissione dell’indicazione delle generalità del conducente … poiché il destinatario dell’invito non può ritenersi obbligato a fornire i dati personali della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi

Sembra opportuno riportare alcune significative pronunce della Corte Costituzionale che si è espressa addirittura a più riprese. Infatti, la stessa nel 2005 ha affermato che

in nessun caso il proprietario è tenuto a rivelare i dati personale e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione” (Così, Corte Cost., sent. n. 27/2005).

Qualche anno più tardi, nel 2007, ha aggiunto che “Se venisse sanzionato anche colui che ha ‘rimandato’ la comunicazione dei dati del presunto trasgressore all’eventuale esito negativo della opposizione, lo stesso verrebbe ingiustamente equiparato a colui che sic et simpliciter ha omesso la comunicazione e che allo spirare dei sessanta giorni non ha proposto alcuna sospensione. Infatti, quest’ultimo soggetto, non impugnando il verbale ‘presupposto’ ha implicitamente accettato la sanzione principale e, per tale ragione, in caso di mancata comunicazione dei dati della patente di guida del conducente merita l’irrogazione della sanzione accessoria” (così, Corte cost. Ord., 14-12-2007, n. 434).

Mentre, nel 2008, ritornando sempre sullo stesso argomento, ha precisato che “L’obbligo di comunicazione è strumentale alla soddisfazione di un interesse, la repressione delle infrazioni stradali, che è strettamente collegato alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”(così, Corte cost. Ord., 17-12-2008, n. 424).

In tal senso andrebbe anche la Cassazione quando afferma che:

In tema di violazione per omessa comunicazione dei dati del conducente di un veicolo ai sensi dell’art. 126-bis c.d.s., ove la contestazione della violazione principale sia avvenuta tardivamente, va esclusa la sussistenza dell’obbligo, per il proprietario del veicolo, di comunicare gli estremi del conducente del mezzo al momento del rilevamento dell’infrazione” (Cass. civ. Sez. VI – 2 Ordinanza, 23-12-2016, n. 26964).

Purtroppo la stessa Cassazione qualche tempo prima ha affermato quanto segue:

L’obbligo della comunicazione dei dati del conducente da parte del proprietario del veicolo, nelle ipotesi di violazione del Codice della Strada, costituisce un distinto obbligo (sanzionato a sua volta autonomamente), che nasce dalla richiesta avanzata dalla Amministrazione ove sia contestata una violazione che determina la decurtazione dei punti patente. Con l’ulteriore precisazione che, essendo l’obbligo di comunicare i dati del conducente richiesti dalla P.A. autonomo e destinato ad assolvere una sua funzione propria, non può essere sospeso o eliminato né dall’eventuale ricorso avverso la violazione principale né dall’eventuale pagamento della multa correlata alla violazione del Codice della Strada presupposta” (così, Cass. civ. Sez. II, 29-11-2016, n. 24233).

 

CONSIGLIO:

siccome la prudenza non è mai troppa, quando un utente ci sottopone un ricorso a una multa che prevede la sottrazione dei punti dalla patente, consigliamo di effettuare una comunicazione all’ente accertatore che soddisfi l’obbligo di comunicazione e al contempo non infici l’opposizione stessa.

 

8)     HO SOLO 3 PUNTI SULLA PATETE. SE NON COMUNICO NULLA?

Spesso capita di ascoltare utenti terrorizzati dalla comunicazione dei punti perché avendo un saldo abbastanza basso rischiano sanzioni più gravi (sospensione, revoca, ecc.).

Appare chiaro che l’organo accertatore non sa chi era alla guida e spesso viene la tentazione di pensare a qualche povero nonno che non guida ormai da tempo.

Premesso che i nostri consigli vanno sempre nella direzione del rispetto delle norme, possiamo permetterci una riflessione.

L’art. 126-bis obbliga la comunicazione dell’identità del conducente, in caso contrario, l’organo accertatore, decorsi 60 giorni, infligge un’altra multa, come abbiamo visto.

La seconda multa conclude l’accertamento sanzionatorio e la relativa procedura, nel senso che non saranno svolte altre indagini al fine di comprendere chi fosse realmente alla guida.

Per cui, il sistema normativo sembrerebbe consentire all’obbligato una scelta: comunicare i dati richiesti o pagare una seconda multa.

In conclusione, vi invitiamo in siffatti casi ad usufruire del nostro servizio che è assolutamente gratuito.

MULTA SEMAFORO ROSSO: POSSO CONTESTARLA? LEGGI QUI.

Se si effettua una ricerca in internet per scoprire come contestare una multa per il passaggio con il semaforo rosso, ci si imbatte in pagine che danno la questione quasi per spacciata. Non è proprio così, infatti anche dalla giurisprudenza di seguito riportata si evince come l’ente sanzionatore debba attenersi a diverse disposizioni di legge, la cui conformità non è facilmente dimostrabile in giudizio.

CIRCA L’OBBLIGO DI INDICARE PREVENTIVAMENTE IL CORRETTO FUNZIONAMENTO 

Sul punto la Cassazione ne ha recentemente affermato la non necessità ai fini di un regolare accertamento:

In tema di rilevazione della violazione del divieto di proseguire la marcia con impianto semaforico rosso a mezzo di apparecchiature elettroniche, né il codice della strada né il relativo regolamento di esecuzione prevedono che il verbale di accertamento dell’infrazione debba contenere, a pena di nullità, l’attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l’uso, giacché, al contrario, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all’idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell’attrezzatura a pregiudicarne l’efficacia ex art. 142 del predetto codice” (così, Cass. civ. Sez. II, 11-05-2017, n. 11574).

CIRCA LA PRESENZA DEI VIGILI AL MOMENTO DELL’ACCERTAMENTO

Qualche tempo fa la Cassazione si è espressa così:

In caso di attraversamento di un incrocio con semaforo rosso, il rilevamento effettuato con apparecchiature tipo photored non autorizza la contestazione differita dell’infrazione; pertanto, per la validità della sanzione amministrativa, è necessaria la presenza di agenti che verifichino la corretta rilevazione della violazione da parte dell’apparecchiatura elettronica” (Cass. civ. Sez. II, 28-12-2009, n. 27414).

C’è da dire che nel tempo si sono susseguiti altri dispositivi omologati per essere utilizzati senza la presenza dell’agente accertatore. Per cui si ritiene che bisogna svolgere un esame caso per caso.

CIRCA L’ACCERTAMENTO DIFFERITO E LA FEDE PRIVILEGIATA

Per costante insegnamento della Cassazione è coperto da fede privilegiata solo quanto accaduto sotto la percezione sensoriale dell’agente. In quest’ultimo caso, per sconfessare quanto affermato dal vigile dovrà procedersi alla querela di falso. Invece, nei casi di accertamento differito, ovvero quanto il vigile visiona dei filmati o fotogrammi acquisiti in modo automatico, è possibile superare quanto dallo stesso affermato con qualsiasi mezzo di prova.

Al riguardo è interessante riportato la seguente massima della Cassazione:

L’efficacia di piena prova fino a querela di falso di un verbale di accertamento di violazioni al codice della strada non si estende ai giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, né alla menzione di circostanze relative a fatti i quali, per il loro accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e comportino pertanto una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento (nella specie, la corte ha cassato la sentenza con la quale il giudice di pace aveva considerato legittima la sanzione amministrativa inflitta ad un automobilista per essere transitato con il semaforo rosso, senza consentire a quest’ultimo di provare a mezzo testimoni di non aver commesso l’infrazione contestata)” (Cass. civ. Sez. II Sent., 29-08-2008, n. 21816)

CIRCA L’ADEGUAMENTO ALLE REGOLE IMPOSTE DAL MINISTERO DEI TRASPORTI

Il Comune per questo tipo di infrazioni deve rispettare tutta una serie di regole imposte dal Ministero dei Trasporti e Infrastrutture, così come afferma la Cassazione:

In tema di violazioni al codice della strada, con riferimento al rilevamento automatico delle infrazioni a mezzo di apparecchiature, ai sensi del comma 1-ter dell’articolo 201 cod. strada – introdotto dall’articolo 4 del d.l. 27 giugno 2003 n. 151 conv. nella legge 1 agosto 2003 n. 214 – , le amministrazioni comunali, che di dette apparecchiature si servono, hanno l’obbligo di rispettare le specifiche disposizioni, dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, necessarie a garantirne l’esatto funzionamento e, in particolare, quelle, contenute nell’articolo 2 del d.m. n. 1130 del 2004, relative alla collocazione dell’apparecchiatura ed alle modalità e tempi delle rilevazioni fotografiche. (Nella fattispecie, relativa alla contestazione dell’attraversamento di un incrocio con il semaforo rosso, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di pace secondo cui l’omologazione non era condizione sufficiente da sola a garantire il perfetto funzionamento dell’apparecchiatura di rilevamento in assenza di organi di polizia)” (Cass. civ. Sez. II Sent., 11-01-2008, n. 558)

CIRCA L’INDICAZIONE DEL PUNTO PRECISO DELLA VIOLAZIONE

L’indicazione generica del luogo della presunta violazione del codice della strada, oltre a ledere il diritto alla difesa costituzionalmente garantito, appare in netto contrasto con quanto prescritto dall’art. 3 comma 1° DPR 250/99, il quale impone di rilevare, nel verbale di accertamento, i “dati riguardanti il tempo, il luogo e l’identificazione dei veicoli…” ove la congiunzione “e” sta a indicare la necessaria compresenza della rilevazione dei tre elementi. Infatti, l’indicazione assolutamente generica del luogo della presunta violazione non mette nelle condizioni la ricorrente di effettuare tutta una serie di controlli per verificare la fondatezza della pretesa sanzionatoria (presenza di segnaletica, indicazione dei limiti di velocità, tipo di strada, senso di marcia, ecc.). I principi appena riportati assumono ancora più rilevanza quando l’accertamento non viene contestato immediatamente al trasgressore, così come testimonia il dato letterale dell’art. 201 C.d.S. a rigor del quale il verbale di accertamento non immediatamente contestato deve contenere “gli estremi precisi e dettagliati della violazione”.

Per cui, si ritiene che nel verbale deve essere indicato con precisione la strada e l’incrocio, nonché tutti gli elementi che mettano nelle condizioni il cittadino di poter comprendere dove sarebbe passato con il rosso.

CIRCA LA TARATURA

Non è possibile esprimersi al momento sulla necessità di tarare annualmente detti strumenti di rilevazione ai semafori in quanto non si è espressa ancora la Cassazione e la giurisprudenza di merito è alquanto oscillante.

Considerato che molti Comuni nel dubbio provvedono alla taratura vale la pena di porre la summenzionata eccezione.

CIRCA LA DURATA DELLE LUCE GIALLA NON INFERIORE A 4”

Secondo la Cassazione il limite di 4” secondi previsti per il passaggio dal giallo al rosso non inderogabile, ma bisogna avere riguardo alle condizioni caso per caso:

In ordine ai tempi di permanenza dell’illuminazione semaforica gialla, si precisa che l’automobilista deve adeguare la velocità allo stato dei luoghi. Altresì, si rileva come una durata di quattro secondi dell’esposizione della luce gialla non costituisce un dato inderogabile, atteso che, in assenza di una disposizione del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992) che preveda una durata minima del periodo di accensione della lanterna di attivazione gialla, la risoluzione del Ministero dei Trasporti n. 67906 del 16 luglio 2007 ha indicato il tempo minimo di durata di detta luce che non può mai essere inferiore a tre secondi, tempo stimato necessario per l’arresto di un veicolo che proceda ad una velocità non superiore ai 50 Km/h. Ne deriva che una durata superiore deve considerarsi di certo congrua” (Cass. civ. Sez. VI – 2, 01-09-2014, n. 18470)

CIRCA L’ONERE DELLA PROVA

Fermo restando quanto sopra affermato, non va dimenticato che ai sensi dell’art. 7, co. 1, D.lgs. 150/2011, l’onere della prova è a carico della P.A. che vuole far valere una pretesa sanzionatoria (“Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”), così come confermato unanimemente dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, secondo cui nel giudizio di opposizione, la Pubblica Amministrazione, sebbene rivesta la figura formale di parte convenuta, conserva quella sostanziale di attrice ed è, pertanto, gravata dall’onere probatorio di dimostrare le ragioni di fatto e di diritto della propria pretesa sanzionatoria (in tal senso, Tribunale di Napoli Sent. 1144/2016; Tribunale di Napoli Sent. 15129/2015; Trib. Genova Sez. I, Sent., 22-02-2013; Cass. civ., Sez. VI, sent. n. 680 del 13-01-2011; Cass. Civ. Sez. I, n. 7296 dell’08.08.96)

Ricorso Facile

ABBANDONARE I CANI E’ REATO: MULTE FINO A 10.000 – LE ULTIME DALLA CASSAZIONE

ABBANDONARE I CANI E’ REATO: MULTE FINO A 10.000 – LE ULTIME DALLA CASSAZIONE

Il periodo estivo, che per gli esseri umani rappresenta generalmente un momento felice per le tanto attese vacanze, per i nostri amici a quattro zampe, invece, spesso coincide con l’abbandono.

Il che oltre ad essere un atto disumano causa ogni anno tantissimi incidenti stradali, talvolta mortali.

Una condotta simile, oltre ai casi di maltrattamento degli animali, costituisce reato, come specifica l’art. 727 del Codice Penale, secondo cui

Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

Come riferisce il Tribunale di Firenze “L’art. 727 c.p. tutela il sentimento di umana pietas nei confronti degli animali e punisce, in via residuale, il mero abbandono degli stessi” (così, Trib. Firenze Sez. I, 01-08-2017).

In una interessante sentenza la Cassazione fornisce una significativa definizione del bene protetto dal citato art. 727 c.p.:

Il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 727 c.p., è costituito non dalla integrità fisica dell’animale, bensì dalla sua stessa condizione di essere vivente perciò meritevole di tutela in relazione a tutte quelle attività dell’uomo che possano comportare, anche soltanto per indifferenza o negligenza od incuria, l’inflizione di inutili sofferenze” (così, Cass. pen. Sez. III, 30-01-2017, n. 46365).

Circa i maltrattamenti inflitti agli animali, sempre la Cassazione specifica che:

In tema di abbandono di animali, ai fini dell’integrazione della condotta prevista dall’art. 727, comma 2, c.p., non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti, la cui inflizione sia non necessaria in rapporto alle esigenze della custodia e dell’allevamento dello stesso” (così, Cass. pen. Sez. III, 23-11-2016, n. 10009).

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OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA – IL GIUDICE DETERMINA L’IMPORTO DELLA MULTA

OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA – IL GIUDICE DETERMINA L’IMPORTO DELLA MULTA

Nel presente articolo, traendo spunto da una recentissima sentenza della Cassazione (la n. 5357/2018), affrontiamo l’argomento dell’importo della sanzione in caso di rigetto dell’opposizione.

Ebbene, l’art. 7, comma 11, D.lgs. 150/2011, prevede che:

«Con la sentenza che rigetta l’opposizione il giudice determina l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata».

La norma appena richiamata, afferma che in caso di rigetto del ricorso, il Giudice determina l’importo della sanzione con il solo limite di non poter fuoriuscire dai limiti (minimo e massimo) indicati dalla normativa sanzionatoria.

Ma in base a quale criterio il Giudice rimodula l’importo della sanzione?

A dare risposta al predetto quesito è la Cassazione, la quale, sebbene si riferisca ad una sanzione comminata dalla Consob, fornisce un valido principio di diritto applicabile anche alle multe per violazione del Codice della Strada:

«In tema di opposizione avverso sanzioni amministrative pecuniarie, nel relativo procedimento, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti dalle relative disposizioni di legge, allo scopo di commisurarla alla effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della L. 24 novembre 1981, n. 689, quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche».

Nella massima appena riportata, il Giudice di Legittimità specifica che nella quantificazione della multa, il Giudice di merito deve valutare l’effettiva gravità dell’azione o omissione in concreto operata dal trasgressore. Inoltre, la Cassazione quando afferma che il Giudice non è “tenuto a specificare i criteri seguiti”, attribuisce una discrezionalità dell’organo giudicante nel caso de quo, con la conseguenza che la statuizione del quantum non potrà essere oggetto di censure in sede di giudizio di legittimità.

Per cui, può capitare che l’opponente, pur vedendosi rigettare il ricorso, possa vedere ridotta anche di molto la sanzione originaria.

Di seguito il testo integrale della sentenza della Cassazione Civile, sezione II del 7/02/2018, n. 5357:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12903-2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato ANDREINA DEGLI ESPOSTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLO CALABRESE;

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZ. PER LA SOCIETA’ E LA BORSA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIA GIOCONDA DE GAETANO POLVEROSI, STEFANIA LOPATRIELLO, GIANFRANCO RANDISI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 74/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositate il 13/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/09/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCANTONIO Anna, con delega depositata in udienza dell’avvocato DEGLI ESPOSTI Andreina, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati DE GAETANO POLVEROSI Maria G., RANDISI Gianfranco, difensori del resistente che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

M.G. ha proposto opposizione D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195 avverso la Delib. 6 dicembre 2013, n. 18724, notificatagli il 10.12.2013, con la quale la Consob ha applicato sanzioni pecuniarie nei suoi confronti, in qualità di componente del collegio sindacale di Fondiaria SAI spa, per complessivi 400.000,00 Euro, ravvisando una serie di violazioni del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 149, comma 1, lett. a), b), c) e e) bis.

In particolare, gli illeciti amministrativi formalizzati a carico del ricorrente si fondano sulla omessa o carente vigilanza in relazione ad una serie di operazioni immobiliari (progetti immobiliari denominati – (OMISSIS)). nonchè alla conclusione di contratti di consulenza con l’ing. L.S. ed alla deliberazione di compensi per gli amministratori; tutte attività poste in essere da Fonsai spa con parti correlate.

Il ricorrente, oltre a dedurre la tardività delle contestazioni, ha lamentato l’adempimento, solo parziale, ad opera degli amministratori. degli obblighi informativi a loro carico, con conseguente inesigibilità di un adeguato controllo da parte dei sindaci;

l’erroneità dell’affermazione di Consob, in ordine all’irrilevanza della prova del danno e del nesso di causalità tra la condotta dei sindaci ed il danno stesso, atteso che, in ogni caso, le conseguenze dannose delle violazioni sono un parametro importante per la determinazione delle sanzioni amministrative pecuniarie da comminare.

Ad avviso del ricorrente, inoltre, non rientra nell’ambito del controllo dei sindaci una valutazione esperita mediante l’esame degli atti gestori; in ogni caso, l’adempimento del relativo incarico professionale avrebbe dovuto valutarsi alla luce della diligenza professionale esigibile in considerazione dell’effettiva struttura societaria, del rilevante numero delle società controllate e delle operazioni effettuate.

Il ricorrente, inoltre, rileva di essere rimasto in carica solo nel periodo dal 2003 al 23 aprile 2009, circostanza di cui la Consob non avrebbe tenuto adeguato conto, atteso che molte operazioni contestate non si erano concluse e non erano state neppure avviate al momento in cui egli aveva cessato l’incarico.

Del pari, non era stato adeguatamente valutato il ruolo svolto da Immobiliare Lombarda spa, preposta alla gestione del patrimonio immobiliare di Fonsai.

L’analisi delle operazioni contestate confermerebbe infine l’impossibilità di un approfondimento dei controlli, divenuto concretamente esperibile solo dopo che il M. aveva cessato l’incarico.

La Consob, costituitasi, ha resistito.

La Corte d’Appello di Torino, con decreto depositato il 13 novembre 2014, affermata in via preliminare la tempestività delle contestazioni, ha respinto l’opposizione, disattendendo le doglianze sulla carenza dell’attività istruttoria e deliberativa della Consob e confermando la violazione da parte del M., in qualità di sindaco, dei doveri di vigilanza in relazione a tutte le operazioni contestate.

Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso il M., sulla base di nove motivi.

La Consob ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti, in prossimità dell’udienza, hanno depositato memorie illustrative, ex art. 378 codice di rito.

Motivi della decisione

Con il primo motivo (rubricato sub A) il M. deduce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 7 e art. 195, comma 2 e L. n. 262 del 2005,art. 24, comma 1 e art. 3 in relazione all’art. 117 Cost. e art. 6 CEDU, assumendo che la mancata tenuta di un’udienza pubblica costituirebbe violazione dell’art. 6 par 1 della convenzione. Deve senz’altro rilevarsi il difetto del necessario requisito di “rilevanza della questione (vedi nei medesimi termini Cass. 20437 e 20438 del 2017), atteso che risulta dal verbale di udienza del 9 ottobre 2014 che nel caso in esame, dopo una prima udienza interlocutoria, in data 27.5.2014, si è tenuta l’udienza di discussione della causa, che si è svolta “pubblicamente e non in camera di consiglio”.

Nei termini suddetti, in particolare mediante la discussione della causa in pubblica udienza, la Corte territoriale si è attenuta a quanto lo stesso ricorrente configura come prioritario.

La Corte ha infatti ritenuto, con scelta processuale che non è stata specificamente censurata, che il procedimento di opposizione di cui alla L. n. 58 del 1998, art. 195, nella formulazione all’epoca vigente, il quale, pur traendo linfa da due distinti modelli normativi (l’opposizione a sanzioni amministrative prevista in generale dalla L. n. 689 del 1981 e il rito camerale disciplinato dagli art. 737 c.p.c. e ss.), si caratterizza in termini di modello procedimentale autonomo (Cass. Ss. Uu. 20930/2009), consentisse il ricorso alla pubblica udienza di discussione, quale strumento maggiormente idoneo a garantire le esigenze di tutela del contraddittorio.

Con il secondo motivo (rubricato sub B.1) si denuncia la falsa applicazione degli artt. 149, 150 e 151 TUF ex art. 360 c.p.c., n. 3), sotto il profilo della omessa prova del danno asseritamente verificatosi in conseguenza del comportamento del collegio sindacale e, segnatamente, dell’odierno ricorrente.

Pure tale motivo non ha pregio.

Come già rilevato dalla Corte territoriale, le sanzioni amministrative irrogate al M. si fondano sull’omesso o inadeguato esercizio dell’attività di controllo da parte dei sindaci delle società quotate e prescindono dall’esistenza del danno, che non costituisce un elemento costitutivo dell’illecito contestato, previsto dall’art. 149 TUF, in relazione all’art. 193.

A differenza, dunque, della responsabilità civile, sancita dall’art. 2407 c.c., la violazione contestata dalla Consob ai fini dell’illecito amministrativo risulta pienamente integrata allorquando il sindaco viene meno al proprio dovere di vigilanza; e ciò indipendentemente dal fatto che da detta condotta derivino o meno conseguenze dannose.

Non appare inoltre pertinente il richiamo alla L. n. 689 del 1989, art. 11.

Dal fatto che la gravità del danno (eventuale) costituisca uno dei parametri di cui tenere conto ai fini della determinazione della sanzione irrogata in relazione ad un determinato illecito amministrativo, non può infatti farsi discendere che il danno sia elemento costituivo indefettibile di ogni fattispecie di illecito ed in particolare della fattispecie in esame, che sanziona direttamente la violazione di determinate condotte, impregiudicate eventuali azioni di responsabilità civile per i danni che da dette condotte siano derivati.

Con il terzo motivo (B.2) si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 149150, e 151 in relazione alla natura dell’obbligo sindacale di controllo.

L’odierno ricorrente lamenta che gli sia stata addebitata la responsabilità per omesso controllo sulla base di una valutazione di merito, fondata sull’opportunità e convenienza delle scelte gestionali degli amministratori, estranea alla natura del sindacato ad essi demandato. Con il quarto motivo (B.3) si denuncia violazione degli artt. 149, 150 e 151 TUF avuto riguardo alla natura dell’obbligo sindacale di controllo nelle società quotate in borsa e con riferimento alle società controllate, lamentando l’omesso rilievo dato nel decreto impugnato alla complessità della struttura organizzativa della società quotata. stante l’impossibilità per il collegio sindacale di censire tutte le operazioni da realizzare.

Il quinto motivo (B.4) denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 149150 e 151 in relazione alle operazioni estranee all’oggetto sociale, censurando la statuizione del decreto impugnato che individua come “spia” o segnale d’allarme idoneo a sollecitare l’attivazione della vigilanza la mera realizzazione di operazioni estranee all’attività di impresa assicurativa da parte di Fonsai.

Il sesto motivo (B.5) denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 149150 e 151, sotto il profilo della falsa applicazione dei Principi di Comportamento con parti correlate di Fonsai, lamentando che la Corte territoriale abbia del tutto obliterato il chiaro tenore letterale delle disposizioni in oggetto, approvate da Fonsai per adeguarsi al Codice di Autodisciplina per le società quotate, predisposto nel 2006 dal Comitato per la Corporate Governance Borsa Italiana spa.

Con il settimo motivo (B.6) si lamenta la violazione della L. n. 689 del 1989, art. 11 censurando la statuizione che, con riferimento alla congruità della sanzione inflitta da Consob, non ha ritenuto significativo, ai fini della valutazione delle sanzioni irrogate, il concreto esito delle operazioni.

I predetti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Avuto riguardo alla natura dell’attività di controllo dei sindaci (B. 2), è vero che la tipologia del controllo dei sindaci non è un controllo di merito e non ha ad oggetto l’opportunità delle scelte gestorie degli amministratori.

Nel caso di specie, peraltro, la Corte territoriale ha accertato, con adeguato apprezzamento di fatto, congruamente motivato, che l’opponente è venuto meno all’obbligo di vigilanza, previsto dall’art. 149 TUF, sull’adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull’affidabilità di quest’ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali, nonchè sulle modalità di concreta attuazione dell’efficienza complessiva in relazione al rispetto dei principi di buona amministrazione omettendo di avvalersi di quella vasta gamma di strumenti informativi ed istruttori attribuiti ai sindaci dall’art. 149 TUF, quali il potere di ispezione e richiesta di informazioni e chiarimenti.

I poteri del collegio sindacale in relazione alle società quotate, infatti, non si attuano soltanto sulla base delle informazioni che gli amministratori sono obbligati a fornire (con periodicità almeno trimestrale) sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, ma anche attraverso l’esercizio dei propri – ampi – poteri d’indagine.

I rilievi critici del ricorrente riguardano, essenzialmente, una presunta inesigibilità dei doveri di vigilanza, in presenza di comportamenti omissivi degli amministratori ed avuto riguardo alle complessità della struttura organizzativa della Fonsai, che controllava oltre 120 società (B.3).

Si osserva in contrario che, come questa Corte ha affermato, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società quotata non può comportare l’esclusione o il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functioone (Cass. 29 marzo 2016 n.6037), gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti dagli atti di abuso gestionali, ma anche dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, valutando preventivamente e verificando efficienza ed adeguatezza del suddetto sistema di controllo, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa Consob, a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato l’obbligo legale di denuncia immediata alla Consob (Cass. Ss.Uu. 20934/2009).

Non viene dunque in rilievo, nel caso in esame, un controllo sul “meritò” delle scelte gestionali, ma l’omesso esercizio degli ampi poteri ispettivi e di monitoraggio della gestione che la legge impone ai sindaci, anche mediante comunicazioni alla Consob, esercizio che nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato essere stato del tutto incompleto ed inadeguato, ben potendo i sindaci, anche in presenza di informazioni insufficienti da parte degli amministratori, attivarsi in proprio per acquisire i necessari elementi conoscitivi.

E ciò anche in considerazione del fatto che nel caso di specie le contestazioni non hanno ad oggetto qualche operazione isolata, ma diverse operazioni, effettuate con parti correlate, e tutte di rilevantissimo valore economico.

Quanto alla doglianza afferente alle operazioni compiute al di fuori dell’oggetto sociale (B.4) la stessa è inammissibile in quanto non coglie la ratio della statuizione impugnata.

La Corte territoriale, infatti, non ha ritenuto, di per sè, anomalo il fatto che una società di assicurazioni acquisti o detenga una partecipazione di controllo in una società immobiliare, ma ha affermato che l’attività di controllo avrebbe dovuto essere esercitata con particolare rigore ed approfondimento in relazione alle operazioni effettuate al di fuori dall’oggetto sociale e con il coinvolgimento di parti correlate o in situazioni di potenziale conflitto di interessi degli amministratori; e ciò tanto più in considerazione del fatto che la normale attività della società quotata è quella assicurativa per il cui svolgimento è requisito essenziale l’esistenza di un capitale o fondo di garanzia di ammontare non inferiore a quanto indicato dai regolamenti Isvap ed in relazione al quale vanno dunque valutate con particolare attenzione le operazioni di carattere speculativo ed a rischio di perdite economiche.

Tali statuizioni sono del tutto esenti da censura e pienamente conformi al consolidato indirizzo di questa corte in materia di natura del controllo dei sindaci in operazioni con part4 correlate (Cass. 20437/2017 e Cass. 19639/2017).

Va inoltre disattesa la doglianza relativa alla falsa applicazione, da parte della Corte territoriale, dei Principi di comportamento con parti correlate di Fonsai, avuto riguardo all’approvazione di dette operazioni da parte del Consiglio di Amministrazione o del Comitato Esecutivo e del parere del Comitato Interno (B.5).

Premesso il difetto di decisività della censura, posto che la violazione dei principi di comportamento in relazione alle verifiche del Comitato di controllo interno costituisce una delle molteplici raliones decidendi delle violazioni contestate, la doglianza è comunque infondata.

La Corte territoriale ha invero correttamente rilevato che l’esame e l’approvazione delle operazioni con parti correlate da parte del Consiglio di Amministrazione doveva costituire la regola, mentre il carattere consultivo del parere del Comitato di controllo interno non ne comportava la natura di mera verifica formale, ma unicamente la non vincolatività, dovendo ritenersi che tali attività di controllo, nell’ambito delle operazioni con parti correlate, fossero necessarie al fine di rilevare trasparenza e correttezza delle operazioni suddette, con la conseguenza che la verifica dell’esistenza ed effettività delle attività di competenza degli organi di ambito amministrativo, anche di controllo interno, deve considerarsi parte integrante degli usuali compiti di vigilanza del collegio sindacale.

Considerato inoltre che le operazioni con parti correlate dovevano rispettare criteri di trasparenza e correttezza sostanziale e procedurale, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che il relativo controllo da parte del Comitato di controllo interno, sulla base delle best practices vigenti anche prima dell’approvazione del Regolamento Consob n. 17221/10, non poteva che investire il contenuto economico dell’operazione, non avendo senso, in tale materia, una verifica limitata alla correttezza meramente formale dell’operazione.

Del pari infondata la censura relativa alla dedotta violazione della L. n. 689 del 1981, art. 11 in relazione alla mancata considerazione del concreto esito delle operazione ai fini della sanzione irrogata (B.6).

Conviene premettere che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti dalle relative disposizioni di legge, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche (Cass. 28.2.2016 n.2406).

Risulta dunque esente da censure la statuizione della Corte territoriale la quale, nel dare atto che diverse operazioni oggetto di contestazione non avevano avuto esito positivo o avevano determinato per la società costi molto superiori a quelli preventivati, ha affermato che, nel caso di specie, considerata la natura delle violazioni contestate, non poteva ritenersi decisiva, ai fini della valutazione di gravità dell’illecito, il concreto esito delle stesse, dovendo piuttosto darsi rilievo alla contrarietà delle operazioni contestate agli elementari principi in materia di regolare e corretta amministrazione e l’elevata rischiosità delle stesse, nonchè al fatto di aver avvantaggiato parti correlate, al di fuori di un adeguato controllo: in relazione a tali contestazioni l’illecito per cui i sindaci sono chiamati a rispondere è dunque incentrato sulla mera condotta omissiva, indipendentemente dall’esito (difficilmente valutabile) delle singole operazioni.

Con l’ottavo motivo (C.1) il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) l’omesso o comunque insufficiente esame delle seguenti circostanze: la propria limitata permanenza nella carica di sindaco, protrattasi soltanto fino al 23 aprile 2009; il ruolo svolto da Immobiliare Lombarda spa; la realizzazione, da parte di Fonsai, di operazioni con soggetti terzi; ed infine la sindacabilità delle perizie CBRE. Il motivo è inammissibile poichè esso, nei termini in cui è formulato, non censura l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ma evidenzia, piuttosto, una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014), lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia valutato in modo adeguato taluni elementi emersi dall’istruttoria espletata.

Ed invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 58 conv nella L. n. 134 del 2012 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che il ricorrente deve indicare il – fatto storico -, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, ancorchè la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Ss.Uu. 8053/2014).

Orbene, nel caso di specie, risultano specificamente prese in esame e valutate dalla Corte territoriale tutte le circostanze dedotte dal ricorrente. La Corte d’Appello di Torino ha infatti espressamente dato atto di aver esaminato ogni operazione con specifico riferimento alle contestazioni connesse al periodo di permanenza in carica dell’odierno ricorrente, laddove l’eventuale richiamo ad accadimenti successivi veniva effettuato al solo fine di consentire la completa comprensione della vicenda, mentre l’eventuale esito negativo dell’operazione era stato indicato al fine della valutazione di congruità della sanzione irrogata.

Sono invece estranee al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), come già evidenziato, eventuali carenze di valutazione o motivazione da parte del giudice di merito, avuto riguardo, in particolare al rilievo del ricorrente secondo cui la piena portata delle operazioni contestate avrebbe potuto essere apprezzata solo successivamente alla sua cessazione dell’incarico. Premesso che, come già evidenziato, le contestazioni della Consob al M. si riferiscono a condotte poste in essere fino alla data della sua permanenza in carica (23.4.2009), la Corte territoriale ha specificamente preso in esame le diverse operazioni in relazione al suddetto periodo, ed ha ritenuto, con motivazione logica, adeguata e completa, la fondatezza delle contestazioni in relazione alle specifiche omissioni contestate, precisando che il riferimento agli accadimenti successivi veniva effettuato solo al fine della corretta comprensione della vicenda esaminata.

Risultano del pari carenti del requisito di decisività e rientrano in un inammissibile sindacato sulla valutazione degli elementi istruttori, le doglianze relative al ruolo svolto da Immobiliare Lombardia, ruolo da ritenersi irrilevante, secondo quanto dedotto dalla Consob, non potendo attribuirsi rilievo decisivo, al fine di escludere la carenza di controllo, al fatto che la gestione del patrimonio immobiliare fosse stata delegata a tale soggetto esterno.

Del pari esente da censure la statuizione del decreto impugnato secondo cui costituiva segnale di allarme il fatto che le operazioni esaminate fossero state effettuate con parti correlate, e soprattutto con la famiglia L. (all’epoca azionisti di riferimento) o con società dagli stessi partecipate, o con altre società del gruppo; e ciò a prescindere dall’esistenza di altre operazioni effettuate con soggetti terzi.

La Corte territoriale, infatti, nel valutare l’omesso o inadeguato controllo da parte dei sindaci, ha correttamente rilevato che le operazioni in esame, in quanto sottendono possibili situazioni di conflitto di interesse, avrebbero dovuto essere esaminate con particolare attenzione da parte del collegio sindacale, per il rischio insito nella loro stessa conclusione, dovendo quindi verificarsi in modo rigoroso il rispetto di iniziative, attività e valutazioni attraverso cui si svolge l’iter necessario per giungere alla conclusione dell’operazione.

Sotto questo profilo non assume evidentemente alcun rilievo il fatto che la società abbia effettuato operazioni anche con soggetti terzi.

Costituisce invece valutazione di merito, estranea all’ambito del presente giudizio, ed è in ogni caso priva di decisività, la opinabilità delle perizie estimative CBRE in relazione ai valori ivi previsti delle operazioni immobiliari contestate, assai inferiori alle stime di Scenari Immobiliari. Non risulta infatti che le contestazioni della Consob abbiano avuto ad oggetto la mera difformità tra le diverse risultanze peritali; tali risultanze costituivano infatti un ulteriore elemento di conferma della inadeguatezza delle operazioni contestate, unitamente ad altri gravi indici di allarme ed elementi di criticità delle diverse operazioni, desumibili mediante l’uso della diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico e colpevolmente trascurati dal collegio sindacale.

Con il nono, articolato, motivo (C.2) si denuncia l’omesso esame di elementi decisivi in relazione alle singole operazioni contestate all’odierno ricorrente dalla Consob, che vengono dettagliatamente elencati.

Pure tale motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una inammissibile richiesta di riesame, nel merito, della valutazione del materiale istruttorio effettuata dalla Corte di appello.

Come già evidenziato in relazione al motivo precedente, il vizio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 58 conv. nella L. n. 134 del 2012, ha ad oggetto non già la carente valutazione o l’omesso esame di elementi istruttori, bensí l’omesso esame di un fatto decisivo, onde tale vizio non è configurabile qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, ancorchè la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie.

Anche con riferimento all’ultimo, articolato, motivo il ricorrente omette peraltro di enucleare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente. il “come” e “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, limitandosi ad indicare, in relazione a ciascuna delle operazioni contestate, una serie di elementi o circostanze che sarebbero state trascurate o valutate in modo inadeguato dalla Corte territoriale.

Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha attentamente ed esaustivamente vagliato i fatti storici caratterizzanti le diverse contestazioni ed ha preso in esame le concrete circostanze dedotte dal ricorrente, in relazione a ciascuna delle operazioni contestate.

La Corte d’Appello di Torino ha altresì dato conto in modo completo, esaustivo ed intellegibile del proprio iter argomentativo, evidenziando, in relazione alle diverse operazioni contestate, le carenze imputabili alla condotta dei sindaci, in relazione ai diversi indici di rischiosità dell’operazione e di inadempimento ai doveri di informazione da parte degli organi delegati, che avrebbero dovuto indurre il collegio sindacale ad esercitare un controllo incisivo e non meramente formale, anche avuto riguardo alla complessiva efficienza del sistema di controllo interno, sul quale spettava ad essi di vigilare.

Da qui la conclusione della Corte territoriale, della violazione da parte dell’odierno ricorrente dell’art. 149 TUF, statuizione che risulta compiutamente ed adeguatamente motivata, ineccepibile sul piano dell’applicazione delle norme di riferimento e che si sottrae dunque al sindacato di legittimità.

In conseguenza del rigetto del ricorso, il ricorrente va condannato a rimborsare alla Consob le spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Si dà altresì atto ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, in favore della Consob che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del’art. 13, comma 1 bis D.P.R. citato.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2018

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MULTA NULLA SE MANCA L’INDICAZIONE SPECIFICA DEL LUOGO – CASSAZIONE 5610/2018

MULTA NULLA SE MANCA L’INDICAZIONE SPECIFICA DEL LUOGO

E’ possibile affermare che i verbali di accertamento di violazione al CdS sono nulli in caso di assoluta incertezza circa il tratto di strada dove si sarebbe consumata la presunta violazione. Spesso, come nel caso del Tutor si rinvengono dichiarazioni del tipo “ “l’infrazione è stata commessa … nel tratto avente lunghezza km 1,991, … e che ha termine al Km 17,357 direzione Est dell’AUTOSTRADA …”.

Un’ affermazione come quella appena citata, risulta lesiva del diritto di difesa del sanzionato, il quale non viene posto nelle condizioni di poter effettuare tutta una serie di verifiche circa la legittimità dell’accertamento.

Al riguardo, combinando il co. 1 dell’art. 201 del CdS, a rigor del quale “Qualora la violazione non possa essere immediatamente contestata, il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione … deve .. essere notificato all’effettivo trasgressore”, con il disposto dell’art. 383, co.1, d.P.R. 495/1992, secondo cui “Il verbale deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e della località nei quali la violazione è avvenuta”, nonché l’art. 385, co. 1, d.P.R.495/1992, il quale prevede che “Qualora la contestazione, nelle ipotesi di cui all’articolo 384, non abbia potuto aver luogo all’atto dell’accertamento della violazione, l’organo accertatore compila il verbale con gli elementi di tempo, di luogo e di fatto che ha potuto acquisire”, emerge che detto luogo deve essere indicato in modo “preciso e dettagliato”.

La ratio delle citate disposizioni risiede nella tutela del diritto di difesa, garantito dalla Costituzione all’art. 24 e nel rispetto della normativa sulla trasparenza che dovrebbe ispirare l’azione della P.A., in quanto, altrimenti, il soggetto sanzionato non essendo posto nelle condizioni di poter ricavare nemmeno orientativamente il tratto di strada, o la direzione, dove avrebbe commesso l’infrazione, verrebbe così privato della possibilità di compiere tutta una serie di verifiche circa la legittimità e validità dell’accertamento (es. la presenza della segnaletica stradale; la segnalazione dello strumento utilizzato; ecc.).

La Cassazione, nella sentenza n. 1414/2007 precisa che una siffatta omissione non costituisce motivo di nullità del verbale di per sé, ma deve essere dedotta dal ricorrente la concreta violazione del diritto di difesa.

Sul punto è tornata ad esprimersi di recente la Cassazione, secondo cui:

L’impugnata sentenza, nel riformare la decisione del Giudice di prime cure, ha ritenuto infondati i motivi di doglianza (mancata inclusione del tratto di strada in cui si sarebbe verificata l’infrazione nel Decreto Prefettizio, con conseguente invalidità della contestazione non immediata) posti a base dell’opposizione ai verbale di contestazione. In particolare a gravata decisione, conformandosi a noti principi già enunciati da questa Corte (Cass. n.ri 376 e 17905 del 2008) ha espressamente e correttamente escluso finanche la necessità dell’inserimento del tratto stradale nell’apposito decreto prefettizio, essendo quest’ultimo necessario solo ove la violazione al C.d.S. avvenga attraverso l’utilizzazione di apparecchiature di rilevamento “a distanza” e non invece – come nella fattispecie – con l’utilizzazione di apparecchiature direttamente gestite dagli agenti di polizia” (così, Cassazione Sez. 6 civile, Ordinanza dell’08-03-2018, n. 5610).

La pronuncia in commento è molto interessante, perché opera una distinzione tra l’accertamento avvenuta con la presenza del Pubblico Ufficiale e quello avvenuto successivamente grazie agli strumenti di rilevazione automatici.

Inoltre, la Cassazione, nella citata sentenza, si riporta ai precedenti orientamenti, dando peso specifico alle allegazioni del ricorrente. Nel senso che, l’omissione dell’ indicazione del preciso tratto di strada invalida il verbale solo nel caso in cui l’opponente eccepisca i motivi per cui detta omissione lederebbe la propria posizione:

In difetto di ogni opportuna allegazione, ad opera della parte ricorrente, in relazione ad orientamento giurisprudenziale che possa far ritenere la gravata decisione non conforme a principi enunciati da questa Corte, deve reputarsi che l’impugnata sentenza ha deciso facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie. Parte ricorrente, infatti, nulla allega o prospetta validamente al fine di poter far ritenere che il provvedimento gravato ha deciso la posta questione di diritto in modo difforme rispetto alla giurisprudenza di questa Corte” (così, Cassazione, ord. cit.).

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PAGAMENTO DEL VERBALE IN MISURA RIDOTTA ENTRO 5 GIORNI? NIENTE RICORSO!

PAGAMENTO DEL VERBALE IN MISURA RIDOTTA ENTRO 5 GIORNI? NIENTE RICORSO!

Molte persone dopo aver letto un nostro articolo sovente ci fanno questa domanda:

  • “Salve ho pagato in misura ridotta un verbale, poi ho visto il vostro articolo del …., sarebbe ancora possibile ricorrere?”

La risposta è no! A dirlo è proprio la legge, in particolare gli articoli 203 e 204 CdS, che disciplinano rispettivamente il ricorso al Prefetto e al Giudice di Pace. Essi espressamente prescrivono “qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta”.

Se la legge specifica che è il solo pagamento in misura ridotta a precludere la strada del ricorso, cosa può fare chi ha pagato in misura piena?

Chi ha pagato il verbale entro i sessanta giorni, senza alcuna riduzione, può fare ricorso. Ben potrebbe, infatti, il soggetto multato pagare per evitare l’iscrizione a ruolo ed un conseguente aggravio di spese, per poi proporre le proprie doglianze in sede giurisdizionale.

In questo caso, dopo il pagamento andrebbe prudenzialmente inviata una comunicazione all’ ente con cui si specifica che il pagamento non significa acquiescenza nei confronti del verbale e ci si riserva l’impugnativa.

COSA SUCCEDE SE POI IL RICORSO VIENE VINTO?

Nel caso in cui dopo aver  pagato la sanzione intera (non ridotta) e dopo aver proposto ricorso, il Giudice dovesse annullare il verbale, ovviamente la Pubblica Amministrazione si troverebbe ad aver incassato una somma indebitamente. Pertanto, sarebbe opportuno inserire all’interno dello stesso ricorso la cosiddetta domanda di ripetizione dell’indebito; altrimenti bisognerà, poi, fare un’altra causa con la quale, in virtù dell’annullamento del verbale, sarà richiesta la restituzione della somma sborsata oltre interessi.

Vista la complessità della procedura per le persone estranee alla professione legale, si consiglia di rivolgersi sempre ad un professionista. In particolare, se vi rivolgerete a noi il servizio sarà completamente gratuito.

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