COVID-19, MULTE SALATE PER CHI VIOLA LE NORME DI CONTENIMENTO. ECCO COSA BISOGNA SAPERE

COVID-19, MULTE SALATE PER CHI VIOLA LE NORME DI CONTENIMENTO. ECCO COSA BISOGNA SAPERE

 

Per effetto del DPCM 10 aprile 2020 tutte le misure per contrastare il diffondersi del contagio da coronavirus sono prorogate fino al 3 maggio 2020.

Restano in vigore tutte le precedenti disposizioni stabilite per contrastare l’emergenza coronavirus comprese quelle che vietano a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano e le ulteriori misure stringenti per chi fa ingresso in Italia, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.

Per cui, a tutti i cittadini:

  • È consentito uscire di casa solo per esigenze lavorative, motivi di salute e necessità. Ove richiesto, queste esigenze vanno attestate mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia o scaricati da Internet. Una falsa dichiarazione è un reato.
  • Fatto obbligo di evitare ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico;
  • È vietato a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute;
  • è vietato spostarsi verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza;
  • non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto, eccetto attività motoria individuale svolta nei pressi della propria abitazione (non in tutte le Regioni, ad esempio la Campania l’ha vietato);
  • che fanno ingresso in Italia, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l’abitazione o la dimora preventivamente indicata all’atto dell’imbarco. In caso di insorgenza di sintomi COVID-19, sono obbligate a segnalare tale situazione con tempestività all’Autorità sanitaria per il tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati.
  • è fatto divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus;
  • le persone per le quali il Dipartimento di prevenzione della Asl accerta la necessità di avviare la sorveglianza sanitaria e l’isolamento fiduciario devono:
  1. mantenere lo stato di isolamento per quattordici giorni dall’ultima esposizione
  2. divieto di contatti sociali
  3. divieto di spostamenti e viaggi
  4. obbligo di rimanere raggiungibile per le attività di sorveglianza.

SANZIONI AMMINISTRATIVE PER I TRASGRESSORI

Il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 ha previsto che il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui sopra, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000. Non si applicherà più l’art. 650 c.p., per cui le predette violazioni non costituiranno più reato.

SANZIONE AMMINISTRATIVA DA 400 a 3.000 EURO

Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

SANZIONE MAGGIORATA DI 1/3 SE COMMESSA A BORDO DI UN VEICOLO

Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689.

PAGAMENTO IN MISURA RIDOTTA

Tale somma è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. La riduzione di cui al periodo precedente non si applica alle violazioni del presente codice per cui è prevista la sanzione accessoria della confisca del veicolo, ai sensi del comma 3 dell’articolo 210, e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.

MODALITA’ DI PAGAMENTO

Il trasgressore può corrispondere la somma dovuta presso l’ufficio dal quale dipende l’agente accertatore oppure a mezzo di versamento in conto corrente postale, oppure, se l’amministrazione lo prevede, a mezzo di conto corrente bancario, ovvero mediante strumenti di pagamento elettronico.

Qualora l’agente accertatore sia munito di idonea apparecchiatura il conducente potrà effettuare immediatamente il pagamento direttamente all’agente accertatore medesimo.

Le sanzioni di cui sopra saranno emesse dal PREFETTO.

Nel caso in cui la sanzione venisse irrogata ai sensi di una norma speciale regionale irrogata per motivi sopravvenuti l’ente emittente sarebbe quello che l’ha irrogata.

Se necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni.

REITERAZIONE DELLA VIOLAZIONE

In caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.

RICORSI E OPPOSIZIONE

SCRITTI DIFENSIVI

Entro 30 giorni dalla contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità.

L’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l’accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all’autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidalmente, altrimenti emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti comunicandola integralmente all’organo che ha redatto il rapporto.

OPPOSIZIONE ALL’ORDINANZA INGIUNZIONE

Contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria secondo le norme di cui all’art. 6, D.lgs. 150/2011.

GIUDICE COMPETENTE

L’opposizione si propone davanti al GIUDICE DI PACE del luogo in cui è stata commessa la violazione.

TERMINE PER L’OPPOSIZIONE

Potrà essere fatto ricorso entro 30 giorni dall’accertamento della violazione.

Per qualsiasi cosa non esitare a contattarci.

RICORSO FACILE

DECRETO INGIUNTIVO CON FATTURA: SI PUO’?

Ci si chiede spesso quali siano i requisiti per richiedere un decreto ingiuntivo e, soprattutto, se lo si può ottenere allegando la sola fattura commerciale.

Prima di rispondere alla predetta domanda appare opportuno offrire una breve introduzione per rendere il tutto più chiaro.

Il decreto ingiuntivo, regolato dagli artt. 633 e ss. c.p.c., rientra nei procedimenti cd. sommari ed ha funzione esecutiva in quanto il Giudice, su richiesta del creditore, ingiunge al debitore:

1)    Il pagamento di una somma di denaro;

2)    La consegna di una cosa mobile determinata;

3)    La consegna di una determinata quantità di cose fungibili.

Perché rientra nei procedimenti sommari con funzione esecutiva?

Innanzitutto, il decreto viene emesso dal Giudice senza contraddittorio e senza effettuare un accertamento approfondito, già da qui si può notare che l’iter sommario è più celere del rito ordinario ed apre la strada per l’esecuzione forzata.

Ma procediamo per gradi.

Colui che è titolare di un diritto di credito ed abbia una prova scritta di ciò, può ricorrere al procedimento per ingiunzione.

In particolare, per quanto riguarda la somma di denaro, essa deve essere:

1)    Liquida: quantificata nel preciso ammontare (es.: 500 euro).

2)    Esigibile: deve riguardare un credito scaduto.

Per quanto riguarda la prova scritta, requisito essenziale per l’emissione del decreto, l’art. 634 c.p.c. indica alcuni documenti definiti “idonei” dalla citata norma, ovvero: le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata, i telegrammi e a rigor del secondo comma del citato art. 634 c.p.c. “Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture”.

Quindi, il creditore può richiedere al Giudice competente l’emissione del decreto ingiuntivo presentando le fatture se estratte in forma autentica.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15383 del 2010, la quale ha affermato che:

“La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo, in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto”.

Anche i Giudici di merito hanno ribadito che:

“Le semplici fatture possono costituire prova dei crediti limitatamente alla fase di emissione del decreto ingiuntivo, e fatta salva ogni ulteriore valutazione del materiale probatorio nel successivo giudizio di opposizione. Infatti un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell’onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza” (Tribunale Caltanissetta, 15/03/2018, n.139).

Così, nella fase monitoria, la fattura è sufficiente per ottenere l’emissione del decreto ingiuntivo in quanto contiene:

1)    I dati identificativi del venditore;

2)    I dati identificativi del compratore;

3)    La data di emissione;

4)    Le condizioni di vendita come ad esempio le modalità o i tempi di pagamento.

Soddisfatti i predetti requisiti, il Giudice, a norma dell’art. 641 c.p.c., ingiunge al debitore il pagamento della somma di denaro o la consegna della quantità di beni richiesti.

Al fine di riequilibrare il diritto di difesa tra le parti, il debitore, entro il termine di 40 giorni dalla notifica dell’ingiunzione, può proporre opposizione al decreto ingiuntivo e, come affermato nelle suddette sentenze, non avendo la fattura efficacia probatoria, il creditore (convenuto formale, ma attore in senso sostanziale) dovrà provare la fondatezza della propria pretesa.

Nel caso che ci occupa, al decreto emesso il Giudice non concederà provvisoria esecutività, in quanto, la fattispecie de qua non rientra nei casi previsti dall’art. 642 c.p.c. comma 1, ovvero:

1)    Cambiale

2)    Assegno bancario

3)    Assegno circolare

4)    Certificato di liquidazione di borsa

5)    Atto ricevuto da notaio o o da altro pubblico ufficiale autorizzato

Nei casi sopra citati, il Giudice deve concedere, “su istanza del creditore”, la provvisoria esecuzione, concedendo il termine di 40 giorni solo per l’opposizione.

Invece, ai sensi dell’art. 642 comma 2 c.p.c., il giudice ha la facoltà di concedere la provvisoria esecuzione solo se:

1)    vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo;

Oppure

2)    se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere.

Come già accennato, una volta emesso il decreto il creditore ha 60 giorni per notificarlo e, in seguito alla predetta notifica, il debitore ha, a sua volta, un termine di 40 giorni per effettuare l’opposizione.

In caso di mancata opposizione, il decreto, su istanza del creditore ai sensi dell’art. 647 c.p.c., viene dichiarato esecutivo.

L’opposizione si propone con atto di citazione davanti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto.

Con l’opposizione si instaura un procedimento ordinario, quale rimedio alla pronuncia di un provvedimento reso inaudita altera parte.

Nel caso descritto, però, non si tratta di un nuovo giudizio, ma si ha soltanto la trasformazione di un giudizio sommario in un giudizio a cognizione piena, realizzando così il pieno contraddittorio tra le parti.

Il debitore ingiunto, per quanto attore in opposizione, assume le vesti sostanziali del convenuto, mentre l’ingiungente, pur convenuto nel giudizio di opposizione, riveste nell’ambito dello stesso la posizione di attore, con la conseguenza di dover superare l’onere della prova del credito azionato.

 Dott. Alessandro Forgione

RICORSO FACILE

MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

MULTA AD UNA SOCIETA’, CHI PAGA? PAGANO TUTTI I SOCI?

L’argomento del presente articolo non riguarda specificamente le multe elevate per violazione del Codice della Strada, in quanto per tali infrazioni vige una disciplina specifica.

Spesso accade che vengono sanzionate per un illecito amministrativo le persone giuridica, in genere Società, ad esempio per accertamenti effettuati dall’Ispettorato del Lavoro. Il caso classico è quello dei lavoratori in nero.

La domanda più specifica è chi paga?

Pagano tutti i soci solidalmente?

Pagano solo gli amministratori?

La risposta a questo quesito si deve rintracciare nell’art. 3 della L. 689/1981 secondo cui:

Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”.

Da detta norma si rinviene che uno degli elementi essenziali per essere multati in seguito ad un illecito amministrativo è il cd. “elemento soggettivo”, consistente nel dolo o nella colpa.

Da ciò discende che una persona giuridica non può avere alcuna condotta, né dolosa né colposa, per cui è sempre necessario “incolpare” una persona fisica.

Sovente accade che le Società hanno più amministratori, per cui in caso di accertamento di lavoro irregolare vengono sanzionati tutti indistintamente con separati atti e per l’intera somma. Dunque neanche in via solidale.

Sul punto si è espressa la Corte D’Appello di Venezia la quale ha affermato:

In tema di sanzioni amministrative, a norma dell’art. 3 della L. 24 novembre 1981 n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, sicché, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (così, Corte d’Appello Venezia Sez. lavoro Sent., 09-04-2019).

Per cui, in una fattispecie come quella appena riportata, è possibile proporre ricorso per ottenere l’annullamento della sanzione in capo al soggetto che non ha avuto alcuna condotta dolosa o colposa rispetto al fatto illecito accertato. 

RICORSO FACILE

 

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

TRANSITARE IN UNA ZTL CON PASS INVALIDI SI PUO’?

Sempre più spesso, specie nei centri abitati, ravvisiamo dei divieti di transito con  scritto Z.T.L., ovvero zone a traffico limitato, che consentono solo ad alcune categoria di veicoli di il passaggio.

La norma in questione è l’art. 7, comma 1, lett. B), del Codice della Strada, a rigor del quale:

Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco:[…]  limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale, conformemente alle direttive impartite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti, per le rispettive competenze, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed il Ministro per i beni culturali e ambientali”.

Una delle domande posto più frequentemente dagli automobilisti è se un veicolo con a bordo un invalido possa o meno transitare all’interno delle ZTL.

La domanda non è stata sempre di facile soluzione, come conferma la giurisprudenza alquanto oscillante in materie.

Di recente, però, si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, affermando che:

Il D.P.R. n. 503 del 1996, art. 11 è stato correttamente interpretato ed applicato dal Tribunale di Busto Arsizio. La norma in questione prescrive, in maniera chiara ed incontrovertibile, che ai possessori del contrassegno speciale per disabili è permessa la circolazione e la sosta nelle zone a traffico limitato e nelle aree pedonali urbane qualora è autorizzato l’accesso anche ad una sola categoria di veicoli per l’espletamento di servizi di trasporto di pubblica utilità. Nel caso di specie, il fatto che l’autorizzazione ad accedere fosse stata concessa a tali veicoli ai soli fini di prelievo ed accompagnamento e non in maniera incondizionata, non può avere rilevanza per far venir meno il diritto di transito ai possessori del contrassegno speciale. L’accesso concesso ai veicoli adibiti al trasporto pubblico, per qualsiasi motivo questo avvenga, è sufficiente per ritenere legittimo, ai sensi del D.P.R. n. 503 del 1996, art. 11 l’accesso al possessore del contrassegno di cui all’art. 12 stesso decreto. […] Anche qualora l’autorizzazione ad accedere nella zona a traffico limitato sia stata concessa dal comune ai veicoli adibiti a pubblico servizio non in maniera incondizionata, ma ai soli fini di prelievo ed accompagnamento delle persone, deve ritenersi consentito l’accesso in tale area del possessore del contrassegno speciale per disabili” (così, Cass. civ. Sez. II, Sent. 14-09-2017, n. 21320).

Per cui, d’ora in poi, non vi saranno più dubbi circa il fatto che gli invalidi, muniti di apposito permesso rilasciato dal Comune di residenza, potranno tranquillamente transitare per le cd. Z.T.L. senza alcun problema.

In merito, molti utenti pongono, altresì, il seguente quesito:

Ma il Comune può obbligare l’avente diritto a comunicare prima o dopo il proprio transito?

La risposta è NO! Vi sarebbe altrimenti una grave compressione dei diritti dell’invalido.

A dirlo è sempre la Cassazione nella sentenza appena riportata:

Ove sia posto a carico del possessore del contrassegno speciale per disabili l’obbligo di comunicare il transito nella zona a traffico limitato entro le quarantotto ore successive, come indicato nel pannello integrativo del segnale di divieto di transito posto all’ingresso della zona medesima, la sua violazione non rende illegittimo l’accesso in tale area del disabile che ne aveva diritto”.

Sul punto occorre, però, fare una piccola precisazione. In ipotesi di mancata comunicazione del transito in Z.T.L. se l’invalido riceve la multa elevata a mezzo rilevatore automatico e la oppone direttamente al Giudice di Pace, non potrà avere il rimborso alle spese di giudizio, in quanto l’Ente non poteva essere a conoscenza del diritto.

Giova in ogni caso ricordare che tanti altri vizi possono inficiare di nullità la multa per Z.T.L., ad esempio:

La mancanza dell’ordinanza sindacale prevista dall’art. 7;

L’indicazione generica del luogo della violazione;

Omessa o inidonea segnalazione del divieto e/o del sistema di rilevazione;

Mancata taratura o omologazione dello strumento impiegato, ecc.

In caso di multa, quindi, non esitate a contattarci.

LA CASSAZIONE BLINDA LE MULTE. NON SARA’ NECESSARIO NOTIFICARE I VERBALI. SENTENZA GRAVISSIMA PER I CITTADINI

LA CASSAZIONE BLINDA LE MULTE. NON SARA’ NECESSARIO NOTIFICARE I VERBALI. SENTENZA GRAVISSIMA PER I CITTADINI

In questi giorni, specie sui giornali web e sui social, si leggono roboanti titoli circa il presunto venire meno dell’obbligo di notifica del verbale:

la condanna a morte per gli automobilisti

La cassazione blinda le multe

Leggendo alcuni di questi articoli sembrerebbe che gli Ermellini avrebbero sancito un principio secondo cui non ci sarà più bisogno di notificare le multe.

Letta in questo modo, sembrerebbe che la Suprema Corte in un sol colpo non avrebbe calpestato solo un bel po’ di norme, iniziando addirittura dall’art. 24 della Costituzione che tutela il diritto di difesa, ma avrebbe sconfessato anche se stessa e 50 anni di giurisprudenza.

La sentenza oggetto di discussione è la seguente: Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 28-06-2018) 23-10-2018, n. 26843.

Ora verifichiamo se è effettivamente come molti media hanno riportato.

Ebbene, la vicenda trae origine da un a opposizione a cartella esattoriale dinanzi al Giudice di Pace di Lagonegro, di cui il cittadino chiedeva l’annullamento sul presupposto che il prodromico verbale non era stato notificato. Il GdP rigettava il ricorso ed il Tribunale locale, adito in appello, confermava la predetta statuizione.

Il cittadino non contento propone ricorso per cassazione.

Secondo la Cassazione:

deve affermarsi il principio di diritto per cui “in materia di opposizione a sanzioni amministrative, è inammissibile l’opposizione a cartella di pagamento, ove finalizzata a recuperare il momento di garanzia di cui l’interessato sostiene di non essersi potuto avvalere nella fase di formazione del titolo per mancata notifica dell’atto presupposto, qualora l’opponente non deduca, oltre che in via preliminare detta mancata notifica, anche vizi propri dell’atto presupposto“.

I Giudici di legittimità specificano che:

in tema di opposizione a cartella di pagamento proposta ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, con finalità “recuperatoria” delle ragioni di opposizione alla sanzione in ragione della nullità o dell’omissione della notifica del processo verbale di contestazione o dell’ordinanza ingiunzione, la finalità stessa – e il rito che da essa consegue come applicabile – esclude in radice la possibilità che sia lasciata all’impugnante … la scelta dell’impugnare o no cumulativamente l’atto presupposto e l’atto consequenziale. Invero, il fatto stesso che nell’ipotesi in esame, esclusa ogni ridondanza ex se della mancata notifica dell’atto presupposto sulla validità della cartella, ammettere l’impugnazione recuperatoria di questa equivale semplicemente ad ammettere, nel settore dell’opposizione alle sanzioni amministrative, una rimessione in termini per il rimedio giudiziario; onde solo contestando anche nel merito la pretesa sanzionatoria si potrà escludere che la nullità della notifica del verbale sia suscettibile di sanatoria ove non siano allegate ulteriori difese rimaste precluse dalla mancata tempestiva cognizione dell’atto presupposto …”.

Effettivamente quanto affermato da molti giornali sembra essere vero.

C’è da dire che la sentenza è a dir poco discutibile per diversi motivi:

–   La regola vuole che la P.A. deve contestare immediatamente le violazioni al trasgressore, come previsto dall’art. 201 del Codice della Strada;

–   Nelle ipotesi eccezionali in cui l’accertamento può essere notificato successivamente la Pubblica Amministrazione ha un termine di decadenza “perentorio” per poter avanzare le proprie pretese, ovvero 90 giorni dalla presunta violazione. Ciò vuol dire che se il verbale notificato oltre i 90 gg. è annullabile dal giudice, senza entrare nel merito della violazione, a maggior ragione sarà annullabile la cartella notificata oltre i 90 giorni e non preceduta dal verbale;

–  Inoltre, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è un agente preposto alla riscossione delle somme, ma non ha la potestà di accertare una violazione;

–  la cartella impugnata è nulla per omessa notifica dell’atto presupposto, ovvero il verbale, costituente indefettibile presupposto procedurale, come ha sempre correttamente sostenuto la giurisprudenza sia di merito che di legittimità (ex multis, Cass. SS. UU. n. 6412/07; Cass., sez. Civ. 4/3/2008 n. 5791; Cass., sent. n. 20098/09; Cass., sez. Civ, 4/3/2008 n. 5791; Cass., sent. n. 20098/09; Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-10-2009, n. 22607; Cass. 22 novembre 2006 n. 24852; Cass. n. 23578/2007).

La Cassazione nella sentenza in commento, nel caso di opposizione a cartella per omessa notifica del verbale di accertamento, parla correttamente di “funzione recuperatoria” della facoltà di opporre il verbale non notificato a suo tempo, ma al fine di eccepirne la decadenza. Infatti, La mancata notifica delle sanzioni di cui alla cartella opposta comporta l’inesigibilità delle somme ai sensi dell’articolo 201 del CdS. Sul punto si è espressa anche la Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui L’opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria comminata per violazione del codice della strada, va proposta ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 e non nelle forme della opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., qualora la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata in ragione della nullità o dell’omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione del codice della strada” (così, Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 22/09/2017 n° 22080).

Sarebbe, infine, interessante chiedere alla Cassazione, ma in che modo (grazie alla funzione recuperatoria dell’opposizione) posso contestare il merito del verbale se non ne conosco il contenuto?

È noto che la cartella esattoriale indica al massimo l’Ente creditore e il numero di verbale, senza nemmeno specificare la norma violata.

Sarà interessante verificare quanti giudici di merito osserveranno il suddetto principio che sembra, a sommesso parere di chi scrive, alquanto illogico nonché contrario a norme di legge.

RICORSO FACILE

DANNI CAUSATI DA ALBERI E CALCINACCI. CHI RISARCISCE IL DANNO?

DANNI CAUSATI DA ALBERI E CALCINACCI. CHI RISARCISCE IL DANNO?

DANNI CAUSATI DA ALBERI E CALCINACCI. CHI RISARCISCE IL DANNO?

Molte persone subiscono danni, specie ai propri veicoli, causati dalla caduta di alberi, calcinacci, pali della luce, segnali stradali ecc.

I Comuni quasi sempre si giustificano invocando presunte cause di forza maggiore (vento, terremoto) che scriminerebbero la propria responsabilità.

Per tali motivi, molti cittadini desistono dall’intraprendere qualsivoglia azione.

Ma come stanno in realtà le cose?

Partiamo dal dato normativo, ovvero dall’art. 2051 c.c. a rigor del quale:

“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

L’Art. 14 “Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade” invece prevede che:

1. Gli enti proprietari delle strade, (2) allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono:

a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;

b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze;

c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta. (3)

2. Gli enti proprietari provvedono, inoltre:

a) al rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni di cui al presente titolo; (4)

b) alla segnalazione agli organi di polizia delle violazioni alle disposizioni di cui al presente titolo e alle altre norme ad esso attinenti, nonché alle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni e nelle concessioni.

2-bis. Gli enti proprietari delle strade provvedono altresì, in caso di manutenzione straordinaria della sede stradale, a realizzare percorsi ciclabili adiacenti purché realizzati in conformità ai programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati problemi di sicurezza. (5)

3. Per le strade in concessione i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada previsti dal presente codice sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito.

4. Per le strade vicinali di cui all’art. 2, comma 7, i poteri dell’ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal comune. (6)

La norma rappresenta quella che in diritto si chiama RESPONSABILITA’ OGGETTIVA.

In quanto, un soggetto, senza una diretta azione, è responsabile dei danni prodotti da una cosa per il fatto stesso di esserne custode.

In tal  senso, si è espressa anche la Cassazione, secondo cui:

«La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la res in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza … l’attore, per ottenere il risarcimento del danno subito, si limiti a provare l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa, non essendo necessaria alcuna prova in ordine alla condotta tenuta dal custode stesso» (così, Cass. civ. Sez. III, 18-02-2014, n. 3793).

La Corte D’Appello di Napoli spiega bene quali sono i presupposti per l’azione di risarcimento ex art. 2051 c.c.:

“La disciplina della responsabilità da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., prevede invece la responsabilità del proprietario per il danno cagionato dalle cose di cui la P.A. abbia la custodia per cui all’attore compete l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo mentre l’ente convenuto potrà liberarsi dalla responsabilità provando l’incidenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. Ne discende che il rapporto di causalità è interrotto dal mero comportamento omissivo o commissivo del danneggiato, idoneo ad integrare il concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., con conseguente proporzionale diminuzione della responsabilità del danneggiante” (App. Napoli Sez. I bis, 25-07-2013).

Secondo i Giudici di merito, addirittura, “L’art. 2051 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che può essere esclusa solo dal caso fortuito (fatto del terzo o dello stesso danneggiato), una volta che il danneggiato abbia provato il nesso di causalità tra l’evento e la cosa in custodia, anche laddove la res sia divenuta pericolosa per l’insorgere di un elemento estrinseco” (Trib. Monza Sez. I, 16 ottobre 2012).

In merito si è espresso anche il Tribunale di Napoli, secondo cui:

“La responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia ha base o nell’essersi il danno verificato nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa; oppure nell’esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi. In presenza di questi due elementi, la norma dell’art. 2051 c.c. pone a carico del custode una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta soltanto dalla prova che il danno è derivato esclusivamente da caso fortuito, inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e della colpa del danneggiato. Pertanto, mentre incombe al danneggiato l’onere di provare i due elementi indicati sopra sui quali si basa la responsabilità, presunta iuris tantum, del custode, quest’ultimo, ai fini della prova liberatoria, ha l’onere di indicare e provare la causa del danno estranea alla sua sfera di azione (caso fortuito, fatto del terzo, colpa del danneggiato), rimanendo a suo carico la causa ignota. La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. si basa sul dovere di custodia che incombe sul soggetto che, a qualsiasi titolo, abbia un effettivo e non occasionale potere fisico sulla res, in relazione all’obbligo di vigilare sulla stessa in modo da impedire che arrechi danni ai terzi. Di talché, ai fini dell’applicazione della disciplina dettata dalla succitata norma, è necessario che la res da cui è derivato il danno, allorquando si verificava l’evento, fosse nella custodia del soggetto chiamato a risponderne” (Trib. Napoli Sez. IV, 24 luglio 2012).

Per quanto concerne il caso fortuito che esclude la responsabilità del Comune, interviene sempre la Cassazione, secondo cui:

Il proprietario-custode di un bene immobile è responsabile per i danni cagionati dal bene, anche se le caratteristiche dannose siano state create da altri. Ciò perché è il proprietario-custode che mantiene nella res quelle caratteristiche dannose, pur essendo obbligato ad eliminarle per il precetto del neminem laedere. E’ configurabile il caso fortuito, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, in presenza di quelle alterazioni repentine e non specificamente prevedibili dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possono essere rimosse o segnalate per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il caso fortuito relativamente ad un sinistro occorso ad un automobilista che, trovandosi alla guida della propria autovettura, era stato costretto ad eseguire una brusca deviazione verso sinistra, per evitare un grosso ramo che, spezzatosi a causa del forte vento in atto, era caduto occupando la sua corsia di marcia. A seguito di tale manovra improvvisa, la sua vettura era finita contro un altro albero, con danni anche alla persona dell’attore. Essendo stati gli alberi posti ai margini della strada  potati pochi mesi prima del fatto, veniva esclusa la possibilità di imputare all’ente gestore della strada una qualsivoglia negligenza nella manutenzione)” (Cass. civ. Sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22384).

 
Pertanto, nel caso in cui avessi subito un danno causato da cose di proprietà altrui, in particolare della Pubblica Amministrazione, non esitare a contattarci, ti forniremo tutta l’assistenza legale necessaria, gratuitamente.
RICORSO FACILE

L’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI: CASSAZIONE OTTOBRE 2018

L’ OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI: CASSAZIONE OTTOBRE 2018

L’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI: CASSAZIONE OTTOBRE 2018

La Cassazione con una recentissima sentenza ha specificato che la cartella esattoriale, nel caso in cui sia il primo atto portato a conoscenza del contribuente rispetto ad una pretesa tributaria, deve essere motivato allo stesso modo di un atto impositivo;

“In tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo. Tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973,art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni. Ciò perché,  essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa; d’altro va rilevata la mancanza di specificità dei mezzi di impugnazione laddove gli stessi non riproducono, se non per una generica sintesi insufficiente allo scopo, il contenuto della cartella della cui omessa motivazione ci si duole” (così, Cass. civ. Sez. V, Ord.,12-10-2018, n. 25527).

RICORSO FACILE

LA RACCOMANDATA L’ACCETTO O NON L’ACCETTO? LA RITIRO O NON LA RITIRO? ECCO LA RISPOSTA.

LA RACCOMANDATA L’ACCETTO O NON L’ACCETTO? LA RITIRO O NON LA RITIRO? ECCO LA RISPOSTA.

Quando il postino citofona non sono quasi mai buone notizie, perché nella maggior parte dei casi o è una multa o una cartella esattoriale.

Alcune persone credono che rifiutare la notifica o evitare di andare a ritirare la raccomandata giacente alla posta, in qualche modo, compromette la notifica, per cui, il mittente dovrà ripetere l’operazione, oppure maturano i tempi della prescrizione, ecc.

Nulla di più sbagliato.

Quello che interessa all’ordinamento giudico non è la reale ed effettiva notifica, bensì, la PRESUNZIONE DI CONOSCENZA.

Ma che vuol dire?

Vuol dire che il sistema prevede in meccanismo, detto sistema notificatorio, che una volta attuato porta al risultato del perfezionamento della notifica. 

Detto sistema prevede tutti i tipi di ipotesi, o quasi:

  • Notifica al destinatario;
  • Notifica a famigliare convivente;
  • Notifica al portiere;
  • Notifica all’addetto alla casa;
  • Rifiuto della notifica;
  • Assenza del destinatario temporanea;
  • Assenza assoluta, ecc.

Addirittura è possibile avere una notifica “perfetta” senza che la notifica sia stata eseguita compiutamente.

È il caso di persona con residenza sconosciuta. In questa ipotesa, la notifica viene effettuata presso la Casa Comunale del luogo di ultima residenza del destinatario (v. Art. 143 c.p.c.).

Quindi, in caso di ricezione di una raccomandata, una raccomandata giudiziaria, una cartella, ecc. ecc., accettatela subito, oppure recatevi quanto prima alla posta o presso il Comune per il ritiro.

L’unica conseguenza che comporta il mancato ritiro di corrispondenza raccomandata è che non sarete a conoscenza del suo contenuto, limitando, in tal modo, il vostro di diritto di difesa.

Per cui, ritirate e accettate tutta la posta e contattateci al più presto.

Il servizio è gratuito.

CASSAZIONE 2018 – IMPORTANTISSIMA – APPELLO MULTE – RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO E NOTIFICA DELL’APPELLO

CASSAZIONE 2018 – IMPORTANTISSIMA – APPELLO MULTE – RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO E NOTIFICA DELL’APPELLO

La Cassazione, con l’ord. 15263/2018, ha reso in un sol colpo due principi di diritto che avevano da sempre diviso la giurisprudenza, affermando che:

  • la P.A. può stare in giudizio per il tramite di un funzionario solo in primo grado, mentre in appello necessita della rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato;
  • Se in primo grado la notifica é effettuata dall’ufficio direttamente presso la sede della P.A. opposta, in secondo grado, invece, l’appello va notificato a cura dell’appellante presso l’Avvocatura distrettuale di Stato territorialmente competente. Ovviamente quanto detto vale per le amministrazioni centrali, mentre per gli Enti Locali la notifica deve essere effettuate presso la sede legale dell’Ente stesso o presso il difensore in primo grado in caso di elezione di domicilio.

Di seguito riportiamo la massima appena citata:

In tema di  opposizione a sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, la facoltà concessa all’amministrazione resistente, in deroga alla disciplina ordinaria, di avvalersi di funzionari appositamente delegati, è limitata al solo giudizio di primo grado, mentre, per quelli successivi, trovano applicazione le norme generali in materia di rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 11, comma 1, r.d. n. 1611 del 1933, nel testo modificato dall’art. 1 l. n. 260 del 1958, con la conseguenza che la notifica dell’appello contro la sentenza di prime cure deve essere effettuata, a pena di nullità, presso la suddetta Avvocatura dello Stato” (così,Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 12-06-2018, n. 15263).

Vale la pena aggiungere che per quanto riguarda l’atto introduttivo dell’appello era da ritenersi valido l’atto di citazione. Ma da quando é entrato in vigore il D.lgs. 150/11, il quale ha assoggettato l’opposizione a sanzione amministrativa al rito del lavoro, non vi sono dubbi che il gravame debba essere introdotto con ricorso.

In tal senso si é espressa la Cassazione:

  • “Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione o a verbale di accertamento d’infrazione stradale – in quanto regolato dal rito del lavoro ai sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 150 del 2011 – l’appello va proposto nella forma del ricorso, con le modalità e nei termini previsti dall’art. 434 c.p.c., sicché, ove il gravame sia erroneamente introdotto con citazione, quest’ultima deve essere non solo notificata, ma anche depositata nel termine di sei mesi” (così, Cass. civ. Sez. VI – 2 Sent., 17-01-2017, n. 1020);
  • L’appello avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, pronunciate ai sensi dell’art. 23della l. n. 689 del 1981, in giudizi iniziati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011, ove erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, non trovando applicazione il diverso principio, non suscettibile di applicazione al di fuori dello specifico ambito, affermato con riguardo alla sanatoria delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea di condominio spiegate mediante ricorso, e senza che sia possibile rimettere in termini l’appellante, non ricorrendo i presupposti della pregressa esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale poi disatteso da un successivo pronunciamento” (così, Cass. civ. Sez. VI – 3 Ordinanza, 01-03-2017, n. 5295).

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MULTA SEMAFORO ROSSO: POSSO CONTESTARLA? LEGGI QUI.

Se si effettua una ricerca in internet per scoprire come contestare una multa per il passaggio con il semaforo rosso, ci si imbatte in pagine che danno la questione quasi per spacciata. Non è proprio così, infatti anche dalla giurisprudenza di seguito riportata si evince come l’ente sanzionatore debba attenersi a diverse disposizioni di legge, la cui conformità non è facilmente dimostrabile in giudizio.

CIRCA L’OBBLIGO DI INDICARE PREVENTIVAMENTE IL CORRETTO FUNZIONAMENTO 

Sul punto la Cassazione ne ha recentemente affermato la non necessità ai fini di un regolare accertamento:

In tema di rilevazione della violazione del divieto di proseguire la marcia con impianto semaforico rosso a mezzo di apparecchiature elettroniche, né il codice della strada né il relativo regolamento di esecuzione prevedono che il verbale di accertamento dell’infrazione debba contenere, a pena di nullità, l’attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l’uso, giacché, al contrario, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all’idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell’attrezzatura a pregiudicarne l’efficacia ex art. 142 del predetto codice” (così, Cass. civ. Sez. II, 11-05-2017, n. 11574).

CIRCA LA PRESENZA DEI VIGILI AL MOMENTO DELL’ACCERTAMENTO

Qualche tempo fa la Cassazione si è espressa così:

In caso di attraversamento di un incrocio con semaforo rosso, il rilevamento effettuato con apparecchiature tipo photored non autorizza la contestazione differita dell’infrazione; pertanto, per la validità della sanzione amministrativa, è necessaria la presenza di agenti che verifichino la corretta rilevazione della violazione da parte dell’apparecchiatura elettronica” (Cass. civ. Sez. II, 28-12-2009, n. 27414).

C’è da dire che nel tempo si sono susseguiti altri dispositivi omologati per essere utilizzati senza la presenza dell’agente accertatore. Per cui si ritiene che bisogna svolgere un esame caso per caso.

CIRCA L’ACCERTAMENTO DIFFERITO E LA FEDE PRIVILEGIATA

Per costante insegnamento della Cassazione è coperto da fede privilegiata solo quanto accaduto sotto la percezione sensoriale dell’agente. In quest’ultimo caso, per sconfessare quanto affermato dal vigile dovrà procedersi alla querela di falso. Invece, nei casi di accertamento differito, ovvero quanto il vigile visiona dei filmati o fotogrammi acquisiti in modo automatico, è possibile superare quanto dallo stesso affermato con qualsiasi mezzo di prova.

Al riguardo è interessante riportato la seguente massima della Cassazione:

L’efficacia di piena prova fino a querela di falso di un verbale di accertamento di violazioni al codice della strada non si estende ai giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, né alla menzione di circostanze relative a fatti i quali, per il loro accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obiettivo e comportino pertanto una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento (nella specie, la corte ha cassato la sentenza con la quale il giudice di pace aveva considerato legittima la sanzione amministrativa inflitta ad un automobilista per essere transitato con il semaforo rosso, senza consentire a quest’ultimo di provare a mezzo testimoni di non aver commesso l’infrazione contestata)” (Cass. civ. Sez. II Sent., 29-08-2008, n. 21816)

CIRCA L’ADEGUAMENTO ALLE REGOLE IMPOSTE DAL MINISTERO DEI TRASPORTI

Il Comune per questo tipo di infrazioni deve rispettare tutta una serie di regole imposte dal Ministero dei Trasporti e Infrastrutture, così come afferma la Cassazione:

In tema di violazioni al codice della strada, con riferimento al rilevamento automatico delle infrazioni a mezzo di apparecchiature, ai sensi del comma 1-ter dell’articolo 201 cod. strada – introdotto dall’articolo 4 del d.l. 27 giugno 2003 n. 151 conv. nella legge 1 agosto 2003 n. 214 – , le amministrazioni comunali, che di dette apparecchiature si servono, hanno l’obbligo di rispettare le specifiche disposizioni, dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, necessarie a garantirne l’esatto funzionamento e, in particolare, quelle, contenute nell’articolo 2 del d.m. n. 1130 del 2004, relative alla collocazione dell’apparecchiatura ed alle modalità e tempi delle rilevazioni fotografiche. (Nella fattispecie, relativa alla contestazione dell’attraversamento di un incrocio con il semaforo rosso, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di pace secondo cui l’omologazione non era condizione sufficiente da sola a garantire il perfetto funzionamento dell’apparecchiatura di rilevamento in assenza di organi di polizia)” (Cass. civ. Sez. II Sent., 11-01-2008, n. 558)

CIRCA L’INDICAZIONE DEL PUNTO PRECISO DELLA VIOLAZIONE

L’indicazione generica del luogo della presunta violazione del codice della strada, oltre a ledere il diritto alla difesa costituzionalmente garantito, appare in netto contrasto con quanto prescritto dall’art. 3 comma 1° DPR 250/99, il quale impone di rilevare, nel verbale di accertamento, i “dati riguardanti il tempo, il luogo e l’identificazione dei veicoli…” ove la congiunzione “e” sta a indicare la necessaria compresenza della rilevazione dei tre elementi. Infatti, l’indicazione assolutamente generica del luogo della presunta violazione non mette nelle condizioni la ricorrente di effettuare tutta una serie di controlli per verificare la fondatezza della pretesa sanzionatoria (presenza di segnaletica, indicazione dei limiti di velocità, tipo di strada, senso di marcia, ecc.). I principi appena riportati assumono ancora più rilevanza quando l’accertamento non viene contestato immediatamente al trasgressore, così come testimonia il dato letterale dell’art. 201 C.d.S. a rigor del quale il verbale di accertamento non immediatamente contestato deve contenere “gli estremi precisi e dettagliati della violazione”.

Per cui, si ritiene che nel verbale deve essere indicato con precisione la strada e l’incrocio, nonché tutti gli elementi che mettano nelle condizioni il cittadino di poter comprendere dove sarebbe passato con il rosso.

CIRCA LA TARATURA

Non è possibile esprimersi al momento sulla necessità di tarare annualmente detti strumenti di rilevazione ai semafori in quanto non si è espressa ancora la Cassazione e la giurisprudenza di merito è alquanto oscillante.

Considerato che molti Comuni nel dubbio provvedono alla taratura vale la pena di porre la summenzionata eccezione.

CIRCA LA DURATA DELLE LUCE GIALLA NON INFERIORE A 4”

Secondo la Cassazione il limite di 4” secondi previsti per il passaggio dal giallo al rosso non inderogabile, ma bisogna avere riguardo alle condizioni caso per caso:

In ordine ai tempi di permanenza dell’illuminazione semaforica gialla, si precisa che l’automobilista deve adeguare la velocità allo stato dei luoghi. Altresì, si rileva come una durata di quattro secondi dell’esposizione della luce gialla non costituisce un dato inderogabile, atteso che, in assenza di una disposizione del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992) che preveda una durata minima del periodo di accensione della lanterna di attivazione gialla, la risoluzione del Ministero dei Trasporti n. 67906 del 16 luglio 2007 ha indicato il tempo minimo di durata di detta luce che non può mai essere inferiore a tre secondi, tempo stimato necessario per l’arresto di un veicolo che proceda ad una velocità non superiore ai 50 Km/h. Ne deriva che una durata superiore deve considerarsi di certo congrua” (Cass. civ. Sez. VI – 2, 01-09-2014, n. 18470)

CIRCA L’ONERE DELLA PROVA

Fermo restando quanto sopra affermato, non va dimenticato che ai sensi dell’art. 7, co. 1, D.lgs. 150/2011, l’onere della prova è a carico della P.A. che vuole far valere una pretesa sanzionatoria (“Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”), così come confermato unanimemente dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, secondo cui nel giudizio di opposizione, la Pubblica Amministrazione, sebbene rivesta la figura formale di parte convenuta, conserva quella sostanziale di attrice ed è, pertanto, gravata dall’onere probatorio di dimostrare le ragioni di fatto e di diritto della propria pretesa sanzionatoria (in tal senso, Tribunale di Napoli Sent. 1144/2016; Tribunale di Napoli Sent. 15129/2015; Trib. Genova Sez. I, Sent., 22-02-2013; Cass. civ., Sez. VI, sent. n. 680 del 13-01-2011; Cass. Civ. Sez. I, n. 7296 dell’08.08.96)

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